domenica 18 ottobre 2009

ORISONTI NOVI - Gisella Paolin

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Orisonti novi

Gisella Paolin - Sarcedo


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Par far quadrare i conti
e guadagnarme el pan
a go lassà i me monti
on dì… Massa lontan!

Xera ormai primavera,
mi tuta intabarà,
ancor la neve in tera
e tanto stomegà.

De drio de mi l’infansia
e ‘l canto de la cuna
davanti la speransa
de catare la fortuna.

Ma, na volta rivà qua
me xe tornà el soriso,
tanti fiori za spanà
pareva on paradiso.

Le siaresare in fiore,
‘n arieta come on sogno,
tanta zente de bon core
me jutava nel bisogno.

Chel dialeto visentin
a scoltava tuta ‘tenta
fasendo su on casin
capìa pan par polenta.

Ciacolavo dal cancelo
co ‘n ometo belo grasso
lu tendeva el so orteselo
mi capiva quasi on ca…volo

A go na ciopinara
in meso a le vanese
“Cossa xela, na pianta rara
che la sponta in te sto mese”?

Paciolando tuti i dì
in patuà guaìvo e s’ceto
a go inparà anca mi
quanto béo che xe el dialeto!

Desso, gensai o pareana,
le sisile o i pissacan
no me par pì roba strana
ma paroe a portà de man

e, fasendo dei smissiòti
co tuti do i dialeti
me scapa anca stranboti
ma… Nissuni xe perfeti!

Sarcedo, 13 ottobre 2009



--- NUOVI ORIZZONTI ---

La primavera era iniziata da poco, era caduta molta neve quell'inverno in montagna e nonostante iniziassero a far capolino tiepide giornate di sole, l'inverno non si decideva a lasciare il passo.
Il mio bimbo, (o bimba? allora non c'era ancora modo di conoscere anticipatamente il sesso del nascituro, solo ipotesi azzardate e spassionate) scalciava nel mio ventre, non intensamente, ma quel tanto che serviva a farmi percepire la sua presenza dolce e fedele.
Ero giovane allora, forse troppo per cimentarmi con un bimbo e con l'impegno di mamma.
La mia testa era ancora piena di grilli della gioventù e non ero del tutto preparata alla serietà e dedizione che comporta l'essere genitori.
Da alcuni mesi non avevamo una casa. Inizialmente il problema non sembrava così preoccupante, il lieto evento era ancora lontano e certamente prima d'allora si sarebbe trovata una soluzione consona.
Mi ospitavano temporaneamente i miei genitori, ero, per così dire, tornata al vecchio nido, però percepivo chiaramente che quella soluzione provvisoria creava certi imbarazzi in famiglia.
Mio marito, giovane, coraggioso e determinato, lavorava più a sud dove i monti scompaiono e si trasformano in dolci colline armoniose e dove, soprattutto, il mercato del lavoro era più generoso e promettente.
Quando rientrava, a fine settimana, proponeva con convinzione l'idea di un trasferimento.
"Basta montagna!", diceva convinto; "bella, panoramica e piena di dolci ricordi però priva di qualsivoglia prospettiva lavorativa, meglio affrontare un mondo nuovo, diverso e sconosciuto ma con orizzonti più ampi e luminosi".
Già da parecchie settimane la proposta era ormai ritornello.....io mi sentivo indecisa e preoccupata.
Abbandonare le montagne? Difficilissimo per me immaginare di aprire una finestra e vedere solo campi senza fine ed un orizzonte lontano e misterioso, il pensiero mi incuteva un timore sconosciuto.
La gravidanza nel frattempo proseguiva il suo corso naturale senza particolari difficoltà, il fatidico giorno però si avvicinava inesorabile ed ancora non si sapeva dove andare.
Continuavo a ripetere a me stessa:"Non posso vivere senza la montagna, la pianura mi mette ansia e tristezza, è troppo piatta e priva d'imprevisti".
Lui però, molto più abituato di me agli spostamenti, trovava la cosa molto più naturale e tentava in ogni modo di rincuorarmi e trasmettermi coraggio. "Su", diceva, "il posto dove lavoro e che ho individuato come ideale per viverci, non è affatto in pianura, è vero, non ci sono le montagne,ma ci sono delle bellissime colline piene di verde e di alberi in fiore, vedrai che andrà tutto bene, quando arriverà il momento del parto potremo comunque tornare, intanto però facciamo una prova, vediamo se ci può piacere". Era stato molto convincente e persuasivo, avevo molta fiducia in lui, del suo coraggio senza limiti, della sua grande forza di volontà. Alla fine, un po' a malincuore, ho deciso di accettare.
Era metà aprile, lì in montagna faceva ancora freddo, l'abbigliamento era invernale completo di rigorosi stivali e pesante mantellina di loden (la stessa che avevo il giorno del matrimonio).
Abbiamo caricato in macchina poche cose, due materassi, coperte e lenzuola, poche vettovaglie ed alcuni vestiti, non mancava la borsa contenente l'occorrente per il bebè in caso di sorprese anticipate.
Il lieto evento era programmato per la metà di giugno, ci sarebbero stati giusti due mesi per l'adattamento. Il viaggio, che pur non aveva presentato intoppi, è sembrato lungo e difficile.
Era una bella giornata di sole e nel vedere allontanarsi quei colori intensi della montagna andavo via via rattristandomi. Dopo poco più di due ore siamo arrivati a Marostica, (eravamo partiti presto ,da bravi montanari che si rispettino) il giorno vero, quello dei movimenti della vita, stava appena per iniziare, i bimbi andavano a scuola contenti pieni di grida e di gioia, la loro dimostrazione d'allegria aveva risollevato, se pur di poco, il mio stato d'animo ricco di rimpianto, poco dopo l'auto si è fermata in un cortile... eravamo arrivati!
Appena scesa dall'auto ho sentito un gran caldo:"Ma qui è già estate!", ho detto con sorpresa, poi finalmente ho avuto il coraggio di guardarmi attorno.
Il giardino della vicina era tutto in fiore, un susseguirsi di coloratissimi tulipani e poi narcisi e muscaris ed altre piante che non avevo mai visto prima, appena più in là le colline esibivano una nuova neve, la fioritura dei ciliegi, generosa e bellissima tanto da farmi restare d'incanto.
Sui prati c'erano i fiori del radicchio già quasi di fioritura completata e moltissime margherite. A contornare le mura medioevali del castello.
La mia nostalgia verso i monti era già un vecchio ricordo, ho creduto di essere in paradiso. Erano trascorsi pochi minuti e già mi sentivo a casa, ho cambiato velocemente il mio abbigliamento d'inverno quasi per scuotermi di dosso quel poco rimpianto che avevo ancora in cuore.
Quel giorno, all'ora di pranzo, la vicina del giardino fiorito, mai vista prima, ci ha portato due braciole, già cotte alla brace, con radicchio ed insalata novella, inoltre ci ha prestato un vecchio tavolo e due sedie, visto che, a causa della fretta di partire, non avevamo caricato nulla di questo.
Son passati 28 anni d'allora, adesso il mio bimbo, che era invece una bimba, è già grande, brava e disponibile, a volte lei ed io facciamo visita a quella signora delle braciole (ma anche di tante altre cose che non elenco) e naturalmente continuiamo ad abitare da queste parti, io amo e mi diletto di queste dolci colline della pedemontana senza più rimpianto per i monti alteri ed imponenti che però continuo a visitare di tanto in tanto.
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sabato 17 ottobre 2009

MAIS MARANO - Mariano Guzzonato

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Mariano Guzzonato - Marano Vic.


--- Mais Marano ---




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'Na pianta vegnù fora da un graneto
de sorgo rosso, tipo sinquantin,
che de somensa pararìa poareto,
ma sototera… l'è pien de morbin

tanto che, in puchi giorni, 'l buta fora
du sguinsi verdi e freschi soratera
e dopo, un fià de concime par sora,
'l cresse come un fiore a primavera.

Coi giorni che va vanti, 'l se fa forte,
de piove e venti no'l ga mai paura;
pitosto de morir 'l fa 'e ganbe storte,
ma la so scorsa resta senpre dura.

A pianta ben conpìa, lu te mostra
do, tre panoce bele, coi mostaci;
le foje intorno, che le par 'na giostra,
e le fime, con sora i so penaci.

Quando 'l colore buta verso 'l zalo,
e in punta, i mostaci se fa veci,
ti verzaghe 'l scartosso e, sensa falo,
in grani rossi e fissi te te speci.

Tor su e sgabotarlo a xé un gusto,
laori da far senpre in conpagnia;
de un mais cusì, ghe xé 'l so posto giusto,
in altre parte no' te'o cati mia.

Tajar le cane e ligar su canari,
xé l'ultimo laoro, par da bon;
de'a pianta messa zo a sulchi ciari,
'n te'l canpo resta solo 'l scataron.

I grani scaolà i xé da vetrina,
che dopo 'ver portà tanto laoro,
'na volta masenà, i dà 'na farina
da far polenta che la xé un tesoro
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e sul panaro 'a pare un sole d'oro.
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